Giancarlo Liviano D’arcangelo, Andai, dentro la notte illuminata, (Pequod, 2007)
A casa il possesso del telecomando è una sorta di totalitarismo. Anche in biblioteca o su una panchina. Anche mentre leggi, capita. Andai, dentro la notte illuminata è una maratona televisiva dalla metà degli anni ottanta a ieri l’altro. Dal telefilm americano medio o nero, deviando per lo strapotere degli opinion makers, per i croccantini da venticinque dollari l’etto di Tinkerbell, il cane di Paris Hilton, all’ansia del reality show-biz. Ed è scritto in un tono banditore, comizio, monito e predicatore. Il risultato è surrond. L’idea del Golden Death era nell’aria (A. Nothomb, Acido Solforico, Voland), l’ultima frontiera della televisione, il parossismo dell’eliminazione mediatica del concorrente conduce all’eliminazione fisica dello stesso. Ipotesi tesi. Era nell’etere. Ora non eravamo più neppure banali esseri umani. Eravamo fiction, un flusso d’immagini che valevano svariati milioni di dollari in raccolta pubblicitaria. Tuttavia la declinazione che prendono le duecentocinquanta pagine di Giancarlo Liviano D’Arcangelo rimestano nel torbido della provincia, della mangiatoia bassa e ben condita con olio d’oliva, dell’ideologia politica applicata ai supermarket, delle infelicità spicciole riscontrabili in qualsiasi post adolescente tirato su a Fonzie, cartoon, trasformazioni bioniche di uomo in macchina e potere. Il Golden Death, il tuffo mezzo carpiato nell’eternità, è una scelta, non si viene costretti a partecipare, si sceglie di andare, di modificare e esternalizzare il concetto di roulette russa davanti a milioni di persone, di abbattere vieti valori d’onore o perdita al gioco per votarsi a quelli dello share, con un paio di scarpe sponsorizzate ai piedi e brand plausibilmente fin dentro le mutande, e in fondo ai visceri. Perché le collinette concave e dorate, nonostante non abbiano attecchito a VillaFranca, modificano lo skyline nel resto del globo e nutrono. Alex è qualsiasi, ha avuto una ragazza, ha ossessioni sessuali, punti di vista non banali ma abbastanza diffusi tra i dissidenti-non-lotta-armata-meglio-eccezione-estetica, amici incistati di nomignoli, ha passato le domeniche in casa mangiando dall’antipasto all’ammazza caffè ed è sopravvissuto, è partito per Londra e Londra alla fine era solo San Francisco. Ha sostenuto un colloquio, è stato scelto, dissuaso, ha scelto ancora. Gli eterni post adolescenti si incaponiscono sovente. E questo è il punto. Liviano D’Arcangelo suggerisce, con una lingua ben rodata, una struttura ondivaga di cronaca e rimembranza, qualche disgregazione di ritmo narrativo e eccessi entomologici su manipolazioni sessuali, o aspirazioni, che crescere può significare mitigare i toni, e, quasi copernicani, adattare se stessi alle circostanze e non, le circostanze a sé stessi.Quindi secondo lei l’opinione pubblica non esiste?, Certo che esiste. Io sono la sua genetica. Esiste così tanto che è prestabilita.